domenica 2 gennaio 2011

IL BALLO DELLA TERRA : IL CRUDO SULLE NOSTRE TAVOLE!


LA SICUREZZA DEL “CRUDO”

di Elvira Naselli

Per una questione di esaltazione dei gusti, dunque di sapore, ma anche per la maggiore “freschezza”, e forse un po’ anche per moda. Sempre più spesso, infatti, sono proprio i ristoratori a proporre carpacci, tartare, pesci e frutti di mare di varie specie. Sulla questione del gusto c’è poco da dire, essendo estremamente personale. Per alcuni un filetto crudo di ricciola o triglia è l’essenza del mare, per altri invece il sapore è troppo forte e la consistenza sgradevole. Sulla questione legata invece alla sicurezza alimentare c’è molto da dire. Gli alimenti crudi, infatti, soprattutto quelli di origine animale, devono essere trattati con estrema precauzione per evitare le cosiddette tossinfezioni alimentari. Dunque crudo, se volete, ma seguendo alcuni accorgimenti.

Pesce

Carpacci di spigola o di tonno, il sushi ormai diffusissimo, ma anche gamberi o scampi o le alici marinate. Non basta il limone o l’aceto, come molti credono, soprattutto se il prodotto è stato conservato o trasportato male, se non era freschissimo al momento dell’acquisto o se proviene da zone a rischio di infestazione da parassiti.

«Mentre bisogna evitare i frutti di mare crudi per salmonelle, tossine algali o epatite A e regalarsi le ostriche solo in posti collaudati, nel pesce crudo il problema è legato soprattutto alle larve di Anisakis», spiega Valentina Tepedino, veterinario e direttore di Eurofishmarket, «presenti in moltissime specie, come nasello, rana pescatrice, salmone pescato, spatola, e poi tonno, sgombro, alici, sardine e altre specie ancora. I parassiti sono visibili a occhio nudo vicino ai visceri. Hanno l’aspetto di piccoli vermi biancastri. Vengono distrutti con la cottura o congelando il prodotto per almeno 24 ore a -20°C. Le alici, da acquistare freschissime, vanno pulite e congelate prima della marinatura. Obbligo che vale anche per i ristoratori che servono pesce crudo. Per i gamberi il rischio è legato alla maggiore allergenicità, oltre al fatto che sono spesso trattati con solfiti per evitare macchie nere».

Il rischio con l’Anisakis è che, se l’uomo con l’alimento lo ingerisce, può provocare sindromi allergiche fino a gastroenteriti più o meno gravi. Va evitato crudo anche il pesce d’acqua dolce, che può contenere un altro parassita (Difillobotrium latum) e che può provocare la plerocercosi, con formazione di noduli e cisti granulomatose a vari livelli. Da consumare con attenzione anche i pesci sott’olio. «Di recente ci sono stati parecchi casi di “sindrome sgombroide” dovuta all’ingestione di alimenti con elevate quantità di istamina, che provoca pomfi, orticaria fino a difficoltà di respirazione», conclude Tepedino, «occorre dunque stare molto attenti quando si compra, ad esempio, il tonno fresco, che deve essere trasportato a casa rapidamente e riposto subito in frigorifero. Stesso discorso per quello sott’olio, evitare di comprarlo se è conservato in grosse latte aperte a temperatura ambiente».


Carne

Un carpaccio o una tartare? «Se la carne proviene da animali controllati e sani e se c’è un rispetto scrupoloso di tutte le regole igieniche si può», premette Agostino Macrì, responsabile del Dipartimento Sanità Pubblica Animale e Sicurezza Alimentare dell’Istituto Superiore di Sanità, «ma bisogna avvertire che sono possibili contaminazioni da microrganismi potenzialmente responsabili di malattie (Escherichia coli, Campylobacter), difficili da individuare e trattare, o da Salmonella. Le carni crude non sono sottoposte ad alcun trattamento per cui sono molto più sensibili ai microrganismi. In altri Paesi, comme gli USA, le carcasse vengono trattate con sostanze antisettiche quali acido lattico, polifosfati o ipoclorito di sodio che contribuiscono ad aumentare il PH della carne inibendo la crescita di microrganismi patogeni. Nell’Unione Europea si preferisce invece intervenire sull’igiene degli allevamenti garantendo un’ottima qualità delle carni. Molti allevatori, inoltre, non sono d’accordo su queste pratiche e temono che una “sanificazione” successiva alla macellazione possa portare ad essere più superficiali prima, negli allevamenti».

I punti di criticità delle carni, come li definisce Giacinto Miggiano, direttore centro ricerche Nutrizione all’Università Cattolica di Roma, sono molti e tutti risolvibili con una adeguata cottura. «I problemi sono di due tipi: il primo è legato ai 5 batteri classici», precisa, «l’Escherichia coli, il Campylobacter, e poi Listeria, Salmonella e Stafilococco aureo. Ci sono poi i parassiti, come tenie, trichinelle e toxoplasma, nel maiale. Con la cottura si abbatte la carica batterica e si evitano i patogeni ma capisco che si perde in gusto, e si perdono anche le vitamine termosensibili e alcuni acidi grassi».

Uova

Il sapore di un uovo crudo, al cucchiaio o succhiato dopo aver bucato le due estremità, è per molti un ricordo d’infanzia. Perché se è vero, come sostiene Agostino Macrì, che le uova che provengono da allevamenti controllati sono le più sicure e si possono mangiare sia crude che alla coque, è altrettanto vero che, con un’alimentazione standardizzata, il sapore è quello che è. «Eppure», conclude Macrì, «bisogna diffidare proprio di quelle “del contadino” che non sempre offrono adeguate garanzie microbiologiche».

Latte

Secondo gli estimatori ha un sapore d’altri tempi. Per i detrattori c’è un rischio microbiologico (in particolare per l’Escherichia coli 157) da non sottovalutare, tanto che il Ministero della Salute è intervenuto obbligando i produttori ad esporre in caratteri rossi e ben visibili sui distributori automatici l’obbligo, da parte dei consumatori, di bollire il latte dopo l’acquisto. Slow food ha dedicato al tema un convegno. E Roberta Lodi, responsabile della sede milanese del CNR-ISPA, ha presentato il risultato delle analisi su 70 dei 100 distributori di latte crudo lombardi: in nessuno di questi c’era Escherichia coli 157.

Curioso poi che in Francia, patria del latte crudo, l’analisi su questo microrganismo non sia neppure tra quelle previste. «Il latte crudo ha dei vantaggi», premette Roberto Rubino, direttore della rivista Caseus, «però non vuol dire che la qualità, legata all’alimentazione delle vacche, sia necessariamente migliore. Oggi dovremmo pensare ad un latte migliore, magari riducendo la produzione per animale. Il latte buono e ricco di omega 3 si fa nutrendo l’animale con erbe di vario tipo, che danno aromi diversi. Oggi, invece, si privilegia un’alimentazione standard e “costruita” per far produrre di più. Che senso ha addizionare un latte di questo tipo con omega 3 e arrivare allo 0,5% quando il latte di podolica al pascolo ne ha tre volte tanto?».

Anche Miggiano è favorevole al latte crudo, con alcuni accorgimenti. «Se si è certi della provenienza e della filiera», precisa, «potrebbe essere preferibile, anche per gli innumerevoli vantaggi di sapore e nutrizionali. Ma attenzione anche alla bottiglia e al trasporto fino a casa. La catena del freddo è fondamentale». Non è possibilista invece Macrì che conclude che «se è vero che gli allevamenti sono controllatissimi, soprattutto quelli che forniscono latte crudo, non ha senso rischiare. Bollire sempre».


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