mercoledì 13 gennaio 2010

DHONDUP WANGCHEN CONDANNATO A SEI ANNI DI CARCERE - AZIONE URGENTE


Dharamsala, 6 gennaio 2010. Dhondup Wangchen, il documentarista tibetano arrestato dal governo cinese per aver girato un filmato nel quale intervista i suoi connazionali sulla situazione nel paese occupato, è stato condannato a sei anni di carcere. La sentenza è stata pronunciata il 28 dicembre 2009. Le autorità cinesi non hanno ancora dato comunicazione ufficiale della sentenza né è stato comunicato il nome della località in cui si è tenuto il processo ma la notizia è stata diffusa da Radio Free Asia, dal Governo Tibetano in Esilio e dai famigliari dei documentarista.



Dhondup Wangchen, trentacinque anni, fu arrestato il 26 marzo 2008 assieme al suo assistente, il monaco Jigme Gyatso, per aver girato, in Tibet, il film Leaving Fear Behind, un documento sulla vita e le aspirazioni dei tibetani alla vigilia dei Giochi Olimpici. Jigme Gyatso fu rilasciato su cauzione sette mesi dopo, il 15 ottobre 2008.






Wangchen, in un primo tempo incarcerato presso il centro di detenzione di Ershilibu, a Sining, in Amdo, fu trasferito pochi mesi dopo in un alloggio governativo per essere interrogato. Fu poi rinchiuso nel Centro di Detenzione N. 1 di Sining.






Nel luglio 2009, il governo cinese sostituì Li Dunyong, l’avvocato liberamente scelto da Wangchen, con un difensore di nomina governativa. Human Rights Watch condannò senza riserve questo gesto definendolo “una violazione della legge penale cinese e una violazione dei diritti umani internazionali che garantiscono agli accusati il diritto di scegliere liberamente il proprio difensore e di incontrarlo durante il periodo della detenzione”.






L’avvocato Li Dunyong ha fatto sapere che, in attesa del processo, il suo cliente è stato sottoposto a tortura al fine di estorcergli una confessione. Durante i sedici mesi della sua detenzione, Wangchen si è sempre professato innocente.






Dhondup Wangchen ricorrerà in appello, anche se i tempi per il ricorso sono strettissimi. Sua moglie, Lhamo Tso, ora in pellegrinaggio a Bodh Gaya con i figli, ha così dichiarato: “Chiedo alla corte che mio marito abbia la possibilità di essere assistito da un avvocato a sua scelta e chiedo alle autorità cinesi di mostrare clemenza: mio marito non è un criminale, ha solo cercato di far sapere la verità”.






Queste le parole di Gyaljong Tsetrin, cugino di Wangchen e coproduttore del documentario: “Il fatto che mio cugino debba affrontare il processo d’appello senza un’assistenza legale mostra come il governo cinese ignori i diritti umani in Tibet. Inoltre, mi preoccupano molto le condizioni di salute di Dhondup: ha contratto l’epatite B e non sta ricevendo le cure mediche appropriate. Mi chiedo come potrà resistere in prigione per sei anni”.

 
AZIONE URGENTE - Appello per il rilascio di Dhondup Wangchen

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