sabato 23 gennaio 2010

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mercoledì 13 gennaio 2010

DHONDUP WANGCHEN CONDANNATO A SEI ANNI DI CARCERE - AZIONE URGENTE


Dharamsala, 6 gennaio 2010. Dhondup Wangchen, il documentarista tibetano arrestato dal governo cinese per aver girato un filmato nel quale intervista i suoi connazionali sulla situazione nel paese occupato, è stato condannato a sei anni di carcere. La sentenza è stata pronunciata il 28 dicembre 2009. Le autorità cinesi non hanno ancora dato comunicazione ufficiale della sentenza né è stato comunicato il nome della località in cui si è tenuto il processo ma la notizia è stata diffusa da Radio Free Asia, dal Governo Tibetano in Esilio e dai famigliari dei documentarista.



Dhondup Wangchen, trentacinque anni, fu arrestato il 26 marzo 2008 assieme al suo assistente, il monaco Jigme Gyatso, per aver girato, in Tibet, il film Leaving Fear Behind, un documento sulla vita e le aspirazioni dei tibetani alla vigilia dei Giochi Olimpici. Jigme Gyatso fu rilasciato su cauzione sette mesi dopo, il 15 ottobre 2008.






Wangchen, in un primo tempo incarcerato presso il centro di detenzione di Ershilibu, a Sining, in Amdo, fu trasferito pochi mesi dopo in un alloggio governativo per essere interrogato. Fu poi rinchiuso nel Centro di Detenzione N. 1 di Sining.






Nel luglio 2009, il governo cinese sostituì Li Dunyong, l’avvocato liberamente scelto da Wangchen, con un difensore di nomina governativa. Human Rights Watch condannò senza riserve questo gesto definendolo “una violazione della legge penale cinese e una violazione dei diritti umani internazionali che garantiscono agli accusati il diritto di scegliere liberamente il proprio difensore e di incontrarlo durante il periodo della detenzione”.






L’avvocato Li Dunyong ha fatto sapere che, in attesa del processo, il suo cliente è stato sottoposto a tortura al fine di estorcergli una confessione. Durante i sedici mesi della sua detenzione, Wangchen si è sempre professato innocente.






Dhondup Wangchen ricorrerà in appello, anche se i tempi per il ricorso sono strettissimi. Sua moglie, Lhamo Tso, ora in pellegrinaggio a Bodh Gaya con i figli, ha così dichiarato: “Chiedo alla corte che mio marito abbia la possibilità di essere assistito da un avvocato a sua scelta e chiedo alle autorità cinesi di mostrare clemenza: mio marito non è un criminale, ha solo cercato di far sapere la verità”.






Queste le parole di Gyaljong Tsetrin, cugino di Wangchen e coproduttore del documentario: “Il fatto che mio cugino debba affrontare il processo d’appello senza un’assistenza legale mostra come il governo cinese ignori i diritti umani in Tibet. Inoltre, mi preoccupano molto le condizioni di salute di Dhondup: ha contratto l’epatite B e non sta ricevendo le cure mediche appropriate. Mi chiedo come potrà resistere in prigione per sei anni”.

 
AZIONE URGENTE - Appello per il rilascio di Dhondup Wangchen

TIBET - Ma dopo le Olimpiadi non dovevano diventare più buoni? Un'analisi perfetta di Piero Verni

Ma dopo le Olimpiadi non dovevano diventare più buoni?



di Piero Verni


(freetibet.eu)


11 gennaio 2010. Ve li ricordate quelli che nel 2008, mentre tibetani, uiguri, dissidenti cinesi, praticanti della Falun Gong e molti altri critici del governo cinese protestavano in tutto il mondo contro l’infamia che i Giochi Olimpici si stavano per tenere in un Paese dove anche le più elementari forme di democrazia sono conculcate e qualsiasi voce critica è ridotta al silenzio livido delle prigioni, dei laogai quando non delle esecuzioni capitali, ci davano degli estremisti? Ve li ricordate quelli che, quando facevamo il calzante paragone con la vergogna delle Olimpiadi di Berlino del 1936 ospitate dalla Germania nazista con Hitler nelle vesti di Grande Anfitrione, dicevano che l’esempio era improponibile? Insomma ve li ricordate quelli che con sicumera degna di miglior causa sostenevano, al contrario di quanto dicevamo noi, che la celebrazione di un così importante evento sportivo avrebbe facilitato (”sicuramente” facilitato) l’apertura della Cina al mondo e quindi anche la “democratizzazione” del regime? E, spostandoci un pochino più a ritroso nel tempo, ve li ricordate quelli che all’inizio degli anni ’80 erano pronti a giurare sulla certa ricaduta democratica dell’ingresso della Cina nell’economia di mercato? Per non parlare di quanti scommettevano che accogliere Pechino nel WTO avrebbe “costretto” i suoi dirigenti a venire a più miti consigli in fatto di libertà civili?


Non so voi, ma io li ricordo bene e oggi mi piacerebbe ascoltare da questi signori qualche parolina di autocritica. Oggi, quando il filmaker tibetano Dhondup Wangchen è stato condannato a 6 anni di carcere duro per aver girato il documentario “Leaving Fear Behind”. Oggi, quando le monache tibetane Nordon e Lhawang Dekyi, colpevoli di aver inscenato una protesta pacifica contro l’occupazione cinese, sono state condannate rispettivamente a due e tre anni di prigione. Oggi, dopo che il mite Liu Xiaobo si è appena visto cadere addosso una condanna a 11 anni di carcere per reati di opinione. Oggi, quando nell’ex Turkestan Orientale le condanne a morte nei confronti dei patrioti uiguri si contano a decine. Oggi, quando è ancora vivo il ricordo dei tre tibetani giustiziati a Lhasa il 20 ottobre scorso e delle decine di arresti eseguiti in questi mesi tra quanti ancora non accettano di essere normalizzati e cercano di non lasciar morire il ricordo della rivolta indipendentista della primavera 2008. Oggi, dopo che perfino un intellettuale di regime come Zhang Boshu è stato rimosso dal suo incarico presso l’Istituto di Filosofia della Accademia Cinese di Scienze Sociali, per aver rivolto larvate critiche alla politica del Partito Comunista. Oggi, quando continua il martirio degli aderenti alla Falun Dafa che a centinaia vengono ogni mese imprigionati, torturati e uccisi. Oggi, quando in ogni angolo dello sterminato territorio della Repubblica Popolare qualsiasi protesta, anche la più pacifica e innocua, viene repressa con violenza e senza misericordia alcuna.






Ma oggi, santo iddio, non dovrebbe essere chiaro a tutti che quel regime è irriformabile? Che non ha alcuna intenzione di cambiare in meglio? O che forse, addirittura, “non può” cambiare pena la sua dissoluzione? Come si fa a non vedere una verità così lampante che è sotto gli occhi di noi tutti? Come non comprendere che più i signori di Zhongnanhai si rafforzano, più divengono potenti, più incassano vittorie politiche ed economiche, più cresce la loro arroganza, la loro brutalità, la loro protervia, il loro delirio di onnipotenza.


E a quanti, come il buon vecchio Prodi (non a caso finito sul libro paga di Pechino in qualità di commentatore politico della CCTV, la televisione di stato cinese), ci vogliono convincere che questa Cina sia un’opportunità per il mondo, dovremmo essere in grado di rispondere che non è vero. Che il presente governo cinese è una minaccia per il mondo. Non solo per il miliardo e trecento milioni di persone che hanno la sfortuna di essere governati da Hu Jintao e compagni ma anche per tutti coloro che vivono fuori dai confini della RPC. Perché la prepotenza e l’arroganza di Pechino sono quelle che conosciamo bene. E vanno dalla pretesa di decidere i luoghi che il Dalai Lama può o non può visitare in India, alla libertà di movimento nel mondo del medesimo Dalai Lama, di Rebiya Kadeer e di ogni altro esponente del dissenso. Per non parlare di cosa stia significando per le economie internazionali la concorrenza dei manufatti e delle merci cinesi prodotte da una classe operaia priva della benché minima copertura sindacale o addirittura prodotte nei campi di lavoro forzato dove sopravvivono e lavorano come schiavi più di 20 milioni di detenuti.






Al contrario di quanto pensa il pacifico Obama, questa Cina “forte e prospera” è ben lungi dall’essere un vantaggio per tutti. Sì, perché sarebbe ora di finirla con questi giochetti di prestigio. Quando si dice Cina infatti, non si parla in astratto di un antico Paese dalla storia millenaria ma del regime che dal 1949 governa con pugno di ferro i suoi cittadini (che nelle attuali condizioni sarebbe meglio definire “sudditi”). Si parla della dittatura del Partito Comunista. Si parla della ”economia di mercato socialista”, che altro non è che un capitalismo selvaggio all’interno di un sistema autoritario a partito unico. Vale a dire lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo privo anche dei più elementari contrappesi sindacali e democratici. E “questa” Cina dovrebbe essere un’opportunità e un vantaggio per tutti? Ma per favore!






L’opportunità e il vantaggio per tutti, popolo cinese e resto del mondo, sarebbe che si verificasse un cambiamento positivo nella struttura di potere a Pechino. Che il regime, se possibile in maniera graduale, mutasse. Che la dittatura del PCC cedesse il posto a forme di autogoverno calibrate sulla peculiare realtà cinese. Ma dovrebbe essere ben chiaro a tutte le persone ragionevoli, che un simile cambiamento positivo non cadrà dal cielo come dono degli Dei. E tanto meno verrà regalato dalla attuale nomenklatura. Il mutamento potrà essere solo il risultato della lotta e dei sacrifici delle forze che all’interno della società cinese premono e si mobilitano, a prezzo di rischi inenarrabili, perché questo cambiamento abbia luogo. Tanto per essere chiari sto parlando della resistenza tibetana, di quella uigura, di quella mongola, dell’embrione clandestino di un sindacato operaio libero, delle rivolte contadine che, sia pure in forma non organizzata e a macchia di leopardo, in questi ultimi anni sono esplose in numerose parti della Cina. E ancora. Parlo del dissenso studentesco e intellettuale che, a oltre 20 anni dal massacro della Tien An Men, non è stato del tutto domato. Dei “Cyber-Activist” i quali, proprio in questi giorni, hanno espresso la loro solidarietà all’opposizione iraniana scrivendo, “Oggi a Tehran domani a Pechino”. Dei milioni di aderenti al movimento spirituale Falun Dafa che continuano con eroismo ed ostinazione a non piegarsi alla brutale repressione che li investe. Di tutti gli aderenti alle numerose fedi religiose (buddhisti, taoisti, cristiani) che rifiutano di omologarsi consegnando la loro ricerca interiore ai funzionari delle “Chiese patriottiche” gestite dal regime.






La speranza di una trasformazione virtuosa della Cina, della nascita di una nazione la cui forza e prosperità possa essere veramente di aiuto al mondo, di un governo finalmente aperto ad un dialogo effettivo e sincero con le diverse componenti del suo mosaico etnico e sociale... questa speranza, dicevo, risiede solo ed unicamente nei soggetti fin qui elencati. Lasciamo perdere gli stati esteri, le pavide burocrazie internazionali, l’ONU, i parlamenti. Lo abbiamo visto quanto siano disposti a rischiare per difendere i “diritti umani”, i “principi democratici”, i “valori della persona”. Abbiamo visto il patetico spettacolo di Obama usato e preso per il collo in Cina da chi gli ricordava di avere nelle proprie mani buona parte del debito pubblico statunitense. Abbiamo visto la tremebonda Europa cosa ha fatto di concreto per difendere quanti, all’interno della Cina, vengono arrestati, torturati, uccisi, perché lottano in nome di quei princìpi di cui i nostri primi ministri e presidenti si beano -a parole- in continuazione. E il Parlamento Europeo? Il nobile, sensibile, solidale, Parlamento Europeo? Una risoluzione ieri, una dichiarazione oggi, una indignazione domani e tutto finisce nel nulla. Poi, business as usual, e via a fare la corsa a chi fa più affari con Pechino.






Un esempio fra i tanti. Nel luglio 2000, a larga maggioranza, il Parlamento Europeo approvava una roboante risoluzione (B5-0608, 0610, 0617, 0621, 0641/2000) in cui auspicava una immediata apertura di colloqui tra Dalai Lama e Pechino per negoziare, “un nuovo statuto per per il Tibet che garantisca una piena autonomia dei tibetani in tutti i settori della vita politica, economica, sociale e culturale, con le sole eccezioni della politica di difesa e della politica estera”e si spingeva fino al punto di invitare, “... i governi degli Stati membri ad esaminare seriamente la possibilità di riconoscere il governo tibetano in esilio come legittimo rappresentante del popolo tibetano qualora, entro un termine di tre anni, le autorità di Pechino e il governo tibetano in esilio non abbiano raggiunto un accordo relativo a un nuovo statuto per il Tibet, mediante i negoziati organizzati sotto l’egida del Segretario generale delle Nazioni Unite”. Infine incaricava, “... la sua Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, ai governi e ai parlamenti degli Stati membri, ai governi e ai parlamenti dei paesi candidati, al Presidente e al primo ministro della Repubblica popolare cinese, al Dalai Lama nonché al governo e al parlamento tibetani in esilio”. Mica male, no? Peccato che, dal 2000 ad ora, di anni nei siano trascorsi 10 e nessuno si è mai sognato di ricordarsi di questa risoluzione. Carta straccia, per non dire di peggio.






In conclusione. La Cina è una dittatura aggressiva, brutale e con ambizioni imperiali. All’interno di un pianeta globalizzato la volontà di potenza del presente regime cinese, che coniuga la struttura autoritaria del sistema comunista con il dinamismo di un impianto economico selvaggiamente capitalista, costituisce una minaccia non solo per i suoi vicini asiatici ma per tutti i paesi con i quali Pechino si trova a competere. Con buona pace delle anime candide, verrà il momento in cui ogni nazione sarà obbligata a confrontarsi con questa spiacevole realtà. E, prima che a qualche dottor Stranamore del 21° secolo venga in mente di “risolvere” il problema all’irachena, sarebbe bene comprendere che l’unica soluzione è aiutare quanti già adesso cercano di cambiare lo stato di cose presente all’interno del moderno “Impero di Mezzo”. Non potendo contare sui governi “democratici”, questa responsabilità spetta dunque a coloro, singoli individui e organizzazioni, che sono pienamente consapevoli della realtà dei fatti. Oggi più che mai è giusto dire a tibetani, uiguri, operai, contadini, dissidenti cinesi, che, “la vostra lotta è la nostra lotta”. E, soprattutto, che dobbiamo, vogliamo, essere in grado di aiutarvi concretamente. Fare conoscere la vostra battaglia, il vostro eroismo, la vostra determinazione. Di fornirvi, dall’esterno, i mezzi necessari per rendere la vostra lotta sempre più efficace e vincente. Che non siete soli.


Nonostante sia stato un criminale politico, Mao aveva ragione quando scriveva, “osare lottare, osare vincere” e “ribellarsi è giusto”.






Piero Verni


http://www.freetibet.eu/

 
P.S. :
All'Associazione Italia-Tibet il Premio Speciale per i Diritti Umani "Martin Luther King"
12 dicembre 2009. È stato assegnato all'Associazione Italia-Tibet il Premio Speciale Diritti Umani " Martin Luther King". Il premio è stato consegnato al presidente dell'Associazione Claudio Cardelli nel corso di una cerimonia a Lecce il 12 dicembre 2009. Il premio è stato assegnato all'Associazione Italia - Tibet per il lungo lavoro nel campo dei diritti umani e per il sostegno umanitario, culturale e politico alla causa del Tibet.


Il premio, conferito dall'Associazione Italia In Arte, ha il patronato della Regione Lombardia e il patrocinio della Regione Puglia, dell'Università del Salento e di numerosi altri prestigiosi enti e istituzioni.

venerdì 8 gennaio 2010

GAZA - diritti umani violati - ricordati della palestina!

IL CONVOGLIO DI VIVAPALESTINA CON AIUTI UMANITARI, partito dalla Gran Bretagna, a cui si è aggiunta la spedizione ITALIANA, E' RIUSCITO AD ENTRARE A GAZA




MA QUESTA NON E' LA BRUTTA NOTIZIA....MI E' APPENA STATO SEGNALATO CHE F16 ISRAELIANI STANNO BOMBARDANDO GAZA , la notizia è pubblicata su Paltelegraph:

http://www.paltelegraph.com/hot-topic/3551-breaking-news-israeli-f16s-attack-northern-western-southern-and-middle-gaza-now
 

lunedì 4 gennaio 2010

Willyna festeggia con tutte le belle befane del web ! Festeggi con me????? AUGURI :-)










LA BEFANA PER I PICCOLI - Una befana da colorare a piacere!























STORIA DELLA BEFANA




La storia della nascita della Befana pone le sue radici all’interno di una tradizione culturale di matrice pagana, di superstizioni e aneddoti magici.


Il periodo natalizio si pone in un momento dell’anno che storicamente era ricco di rituali e usanze legati alla terra, all’inizio del nuovo raccolto e all’idea di propiziarsi fortuna e prosperità nell’anno nuovo.
Già gli antichi Romani celebravano l'inizio d'anno con feste in onore al dio Giano e alla dea Strenia (da cui strenna natalizia). Queste feste erano chiamate le Sigillaria; ci si scambiava auguri e doni in forma di statuette d'argilla o di bronzo e perfino d'oro e d'argento. Queste statuette erano dette "sigilla", dal latino "sigillum", diminutivo di "signum", statua. Le Sigillaria erano attese soprattutto dai bambini che ricevevano in dono i loro sigilla (di solito di pasta dolce) in forma di bamboline e animaletti.

La Befana è un personaggio che ha colto suggestioni da diversissime leggende e trasposizioni culturali. Inizialmente, e si parla ancora del periodo romano politeista, la popolazione venerava Diana, la dea della caccia e della fecondità che nelle notti che precedevano l’inizio della nuova semina si diceva passasse, con un gruppo nutrito di donne, sopra i campi, proprio per renderli fertili e fecondi al nuovo raccolto.

L'enciclopedia Treccani ne dà la seguente definizione: è per il popolo un mitico personaggio in forma di orribile vecchia, che passa sulla terra dall'1 al 6 gennaio. Nell'ultima notte della sua dimora il mondo è pieno di prodigi: gli alberi si coprono di frutti, gli animali parlano, le acque dei fiumi e delle fonti si tramutano in oro. I bambini attendono regali; le fanciulle traggono al focolare gli oroscopi sulle future nozze, ponendo foglie di ulivo sulla cenere calda; ragazzi e adulti, in comitiva, vanno per il villaggio cantando...in alcuni luoghi si prepara con cenci e stoppa un fantoccio e lo si espone alle finestre...I contadini della Romagna toscana sogliono invece portarlo in giro sopra un carretto, con urli e fischi, fino alla piazzetta del villaggio, ove accendono i falò destinati a bruciare la Befana...Gli studiosi vedono nel bruciamento del fantoccio (la Vecchia, la Befana, la Strega), che persiste un po’ dappertutto in Europa, la sopravvivenza periodica degli spiriti malefici, facendo risalire il mito della befana a tradizioni magiche precristiane...

Col passare dei secoli la deriva pagana diede spazio alle interpretazioni cristiane; siamo ovviamente in un medioevo fatto di persecuzioni alle streghe e di forte fervore religioso. Ed è qui che avviene un primo incontro di culture, la bella Diana diviene una brutta donna e i riti dei falò (si bruciava il vecchio per dare spazio al nuovo) divengono dei veri e propri roghi della vecchia, dove una simbolica attempata strega viene posta al di sopra di questi roghi. Le contaminazioni pagane e cristiane generano quindi una figura di donna che è un misto di entrambe le culture, da una parte vive la buona Diana e dall’altra la cattiva strega che deve essere bruciata.

Questo rito propiziatorio, a cui ancora oggi possiamo assistere, è stato poi abbracciato dalla chiesa ed è qui che nasce la leggenda bella Befana. Si dice che i Re Magi in viaggio per Betlemme avessero chiesto informazioni sulla strada ad una vecchia, e che avessero insistito perché lei andasse con loro a portare i doni al salvatore. La vecchia rifiutò, ma poco dopo, pentita, preparò un cestino di dolci e si mise in cerca dei Magi e del bambino Gesù.

Non trovandoli bussò ad ogni porta e consegnò dolci ai bambini sperando di potersi così far perdonare la mancanza. Con la mediazione del cristianesimo la Befana diviene quindi una specie di strega, vestita di stracci, brutta e che vola sopra i tetti con una scopa, ed ha quindi un lato perfido che la rende un personaggio estremamente affascinante. Se infatti molti altri benefattori come Babbo Natale o San Nicola portano doni a tutti, la Befana porta dei regali modesti e tanto carbone a chi non è stato buono.


L’etimologia del nome Befana, è strettamente legato al nome della festa, è una derivazione infatti delle forme dialettali con cui il popolo esprimeva il termine “Epifania”. Il dualismo affascinante che sta sotto alla figura di questa vecchia è forse il motivo per cui non è mai diventata un vero e proprio oggetto commerciale, fatta esclusione per gli ultimi anni.

Se San Nicola è un santo protettore, e Babbo Natale un paffuto rubicondo nonnino che accontenta tutti i bambini, la Befana è invece la sostanza femminile pagana di una lunga tradizione rituale contadina.
Non porta soldi, e non ha neppure un gruppo di elfi artigiani per fare regali, la Befana tradizionale porta arance, noci, piccoli dolci casalinghi e carbone, ultimamente zuccherato ma comunque carbone, e ci ricorda che dopo le feste si torna a lavorare a “sgobbare” per i frutti del terreno.

Non è un caso l’usanza di dire “l’epifania tutte le feste porta via”. Perché è proprio dopo il sei Gennaio che il contadino ricominciava con la nuova semina, che si riprendevano i fervori casalinghi per dar vita ad un nuovo, e si sperava, prosperoso raccolto.

La Befana è un personaggio molto inserito nella cultura italiana ma questa leggenda trova riscontri anche nelle tradizioni precristiane olandesi o tedesche.

E così presso i tedeschi del nord troviamo Frau Holle che nella Germania del sud, diventa Frau Berchta. Entrambe queste "Signore" portano in sé il bene e il male: sono gentili, benevole, sono le dee della vegetazione e della fertilità, le protettrici delle filatrici, ma nello stesso tempo si dimostrano cattive e spietate contro chi fa del male o è prepotente e violento. Si spostano volando o su una scopa o su un carro, seguite dalle "signore della notte", le maghe e le streghe e le anime dei non battezzati.



sabato 2 gennaio 2010

GAZA - Aggiornamenti dal Cairo e una lettera da Gaza

Il 31/12/2009 si è svolta la Gaza Freedom March a Gaza, a cui hanno partecipato solo i Palestinesi e meno di 100 internazionali (dei 1400 attivisti presenti al Cairo), che l’Egitto ha lasciato entrare a Gaza.


Gli internazionali al Cairo hanno continuato tutto il giorno a manifestare pacificamente al Cairo la loro determinazione a chiedere giustizia e libertà per Gaza e per tutta la Palestina. Sono stati continuamente aggrediti e dispersi o sequestrati negli alberghi da una solerte polizia Egiziana in assetto anti sommossa. Ci sono feriti, anche tra i 140 Italiani (non ho notizie dettagliate sul numero di feriti, la notizia è stata data dal TG3 ).


Ma gli attivisti non demordono ancora, chiedono a tutto il mondo attenzione, 30 sono in sciopero della fame ed hanno dichiarato che continueranno fino a quando anche Gaza, assediata, non riuscirà a mangiare

“Il piacere del nostro cibo è mescolato alla sofferenza dei Palesinesi.” In sostanza dichiarano: Non riprenderemo a mangiare finchè a Gaza non avranno riacquistato il diritto al cibo, ad una casa e alla libertà.

Ad iniziare lo sciopero della fame è stata Hedy Epstein, l’85enne sopravvissuta all’Olocausto, che da 5 giorni è in sciopero assieme a 29 attivisti.

DI SEGUITO LA COMMOVENTE LETTERA CHE SCRIVONO DA GAZA I PALESTINESI ASSEDIATI:
 
Per cortesia inoltrate questa lettera a tutti I sostenitori della Gaza Freedom March e dite loro che li aspettiamo ancora, marceremo con loro dentro Gaza presto! Non mollate, noi non cadremo!
Majed Abusalama

Noi sognatori della libertà a Gaza aspettiamo le “candele della speranza” che ardono fuori.


Ad un anno dal massacro di Gaza, il nostro cuore è allietato nel vedere tutti questi sostenitori dal mondo intero che ci salutano come fratelli e sorelle e ci trasmettono energie positive sufficienti per continuare ad essere ottimisti sul fatto che tutto il mondo un giorno chiederà ai propri leader di fermare la fondazione di nuove colonie in Cisgiordania e di rimuovere il blocco di Gaza.

Comunque, nonostante tutta questa attesa, proteste, sciopero della fame e dimostrazioni, il governo Egiziano ha consentito solo a 100 persone di entrare a Gaza. Noi giovani di Gaza diciamo che NON è sufficiente per interrompere il blocco. Gaza non vuole dipendere dagli “aiuti”. E non vogliamo solo poche persone autorizzate ad entrare una volta ogni tanto. La popolazione di Gaza vuole interrompere l’assedio completamente e per sempre. Abbiamo appena iniziato e siamo ancora piccoli, ma ora dobbiamo crescere, diventare tanti e forti.

Aspettiamo ancora che possiate entrare tutti a Gaza e di poter condividere con voi le sensazioni, i sentimenti, ma anche sel’Egitto vi costringe fuori, il lavoro che state svolgendo in Egitto è importante. L’Egitto è uno degli artefici del blocco, quindi apprezziamo molto tutte le azioni di protesta e solidarietà che avete condotto in ogni “centro nevralgico” di quella grande città che è il Cairo, rischiando parecchio la vostra incolumità personale,. Avete dimostrato il vostro sostegno a Gaza e alla Palestina forte e chiaro, cercando di svegliare l’umanità intera e sensibilizzarla sulle condizioni degli oltre 1 milione e mezzo di abitanti di Gaza che soffrono oramai da quattro anni.

Per favore, non smettete di lottare, non importa cosa accada. Con il vostro aiuto, noi otterremo giustizia e pace. Marciamo per la pace insieme.

Aspettiamo ancora che la Gaza Freedom March arrivi dal Cairo e Noi siamo contro la decisione del governo Egiziano! Siate i benvenuti a Gaza con l’augurio di un Felice Anno Nuovo senza Assedio, senza Settlements (Colonie) e senza Occupazione!

Majed Abusalama
Representative of Youth in Gaza
Community Activist and Peace Maker
Gaza strip, Palestine
Majedgaza@gmail.com
+972599828830